Vaccini Covid-19

COVID-19: quali e quanti sono i vaccini. Il punto della situazione

A partire dallo scorso 27 dicembre, in Italia è scattata la campagna vaccinale per tentare di porre fine a questa pandemia che ci tiene in scacco da oltre un anno.

I primi vaccini ad aver ottenuto l’autorizzazione sono stati, nell’ordine, gli americani Pfizer-BioNTech e Moderna e l’anglo-svedese AstraZeneca. Ma altri vaccini sono stati creati e sperimentati, alcuni dei quali ancora in attesa di autorizzazione, mentre altri già permessi in alcuni Paesi.

Ma quali sono le caratteristiche che accomunano e differenziano gli attuali vaccini? Andiamo ad analizzare,  in modo semplice, i vaccini attualmente presenti.

Il vaccino PFIZER-BIONTECH

Realizzato con la tecnica dell’RNA messaggero (mRNA) è, al momento, il vaccino maggiormente utilizzato in Italia. L’mRNA è inserito in microscopiche vescicole lipidiche per agevolare il suo ingresso nelle cellule; esso non può propagare se stesso nelle cellule dell’ospite, ma induce la sintesi della proteina Spike (che serve al virus SARS-CoV-2 per agganciarsi alla cellula umana).

In questo modo, il sistema immunitario riceve le istruzioni per intercettare il virus e, qualora venga in contatto con esso, neutralizzarlo con specifici anticorpi.

Questo vaccino è destinato in via prioritaria al personale sanitario di nosocomi e RSA e ai soggetti di età superiore agli 80 anni. Viene somministrato in due iniezioni intramuscolari a distanza di almeno 21 giorni l’una dall’altra. La somministrazione della seconda dose, secondo i risultati degli studi effettuati, garantirebbe protezione al 95% dei soggetti dai 16 anni in su contro il rischio di sviluppare la malattia COVID-19.

Il vaccino MODERNA

Presente in Italia sin da gennaio, anche il Moderna è un vaccino a RNA messaggero, capace di indurre la sintesi della proteina Spike. Necessita di due somministrazioni, a 28 giorni di distanza l’una dall’altra, e pare mostrare il 95% di efficacia su soggetti adulti dai 18 anni in poi.

Il vaccino ASTRAZENECA

Il vaccino AstraZeneca è basato sul vettore virale ed è stato realizzato utilizzando l’adenovirus degli scimpanzé, un virus responsabile del raffreddore comune in questi primati.

Una versione indebolita del citato adenovirus (incapace di replicarsi e innocua per l’organismo umano) viene adoperata come vettore, ossia come tramite, per introdurre nelle cellule umane il materiale genetico, in precedenza ivi inserito, della proteina Spike, quella che permette al virus SARS-CoV-2 di innescare l’infezione responsabile di COVID-19.

Il sistema immunitario si attiva contro la proteina Spike producendo anticorpi e laddove l’individuo entrasse, successivamente, in contatto con il virus, i suoi anticorpi sarebbero in grado di riconoscerlo e attaccarlo, bloccando così l’infezione.

Questo terzo tipo di vaccinazione prevede due iniezioni: immediatamente dopo la prima, l’efficacia risulta essere del 62%, ma col passare dei giorni aumenta fino a raggiungere l’80% verso la dodicesima settimana, termine entro il quale effettuare il richiamo.

Il vantaggio del vaccino AstraZeneca riguarda principalmente la sua più facile conservazione rispetto ai primi due, tuttavia presenta una minore efficacia.

Ecco perché la Commissione tecnico-scientifica dell’AIFA ha consigliato un utilizzo preferenziale dei vaccini a mRNA nei soggetti anziani e/o a più alto rischio di sviluppare una patologia grave e del vaccino AstraZeneca nei soggetti tra i 18 e i 55 anni di età, che poi il Ministero della Salute, con la circolare del 22 febbraio 2021, ha esteso ai 65 anni di età, ad eccezione degli individui estremamente vulnerabili.

Il vaccino JANSSEN (JOHNSON & JOHNSON)

Autorizzato negli Stati Uniti la scorsa settimana su adulti di età non inferiore ai 18 anni, ad aprile potrebbe giungere in Italia. È l’unico preparato anti COVID-19 monodose: non ha bisogno, cioè, di richiamo.

L’efficacia è del 72-86% e viene trasportato nell’organismo attraverso un adenovirus reso innocuo, pertanto anch’esso sfrutta un vettore virale per attivare la risposta immunitaria.

Il vaccino CUREVAC

Come Pfizer-BioNTech e Moderna, anche il tedesco CureVac è un vaccino realizzato con la tecnica dell’RNA messaggero. Tra la fine di maggio e l’inizio di giugno dovrebbe ottenere l’autorizzazione dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

Per ora, non si hanno a disposizione informazioni su una sua effettiva efficacia.

Il vaccino NOVAVAX

L’azienda statunitense Novavax, con cui l’Europa è in trattativa per firmare un contratto, ha avviato il più vasto trial di fase 3 del suo vaccino in USA e Messico con 30.000 volontari in 118 diversi siti.

Il vaccino Novavax si basa sulle proteine ricombinanti, avvalendosi della tecnologia delle nanoparticelle ricombinanti. Questa tecnologia è assai vantaggiosa poiché, prevedendo costi relativamente contenuti, consente di progettare e fabbricare volumi molto alti, fino a due miliardi di dosi all’anno, e la conservazione in frigo normale permette di coinvolgere le farmacie nell’inoculazione di massa.

Il vaccino SPUTNIK V

Comporta la somministrazione, a distanza di 21 giorni tra l’una e l’altra, di due dosi, veicolate da due diversi adenovirus che trasportano la proteina Spike.

Accolto con un iniziale scetticismo in Occidente, il vaccino anti COVID-19 sviluppato e prodotto in Russia è sempre più richiesto, ma per adesso non è autorizzato nell’Unione Europea. Tra i Paesi che già lo utilizzano si annoverano l’Ungheria e la Repubblica di San Marino (quest’ultima non facente parte dell’Unione Europea).

Si tratta di un vaccino a vettore virale con somministrazione per iniezione intramuscolare.

A differenza dei vaccini a mRNA, come quelli di Pfizer-BioNTech e Moderna, Sputnik V si serve di due adenovirus ritenuti poco aggressivi e modificati al fine di poter trasportare le istruzioni per produrre la proteina Spike, che il coronavirus sfrutta per legarsi alle cellule e replicarsi. In questo modo, il sistema immunitario impara a riconoscere la proteina senza entrare in contatto con il virus vero e proprio, serbandone poi memoria. Laddove si verificasse una successiva infezione con il coronavirus, il sistema immunitario avrebbe già sviluppato le conoscenze per impedire al virus di legarsi alle cellule, di replicarsi e di provocare l’insorgere della malattia COVID-19.

Il nome del vaccino russo è stato scelto per ricordare il primo satellite artificiale della storia, lo Sputnik 1 lanciato dai sovietici, mentre la “V” sta per “vaccino”.
Pare che al momento la sua efficacia sia stimata al 91,6%.

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