Varianti COVID-19 - Variante Delta

COVID-19: cosa bisogna sapere delle varianti del virus

In questo periodo di pandemia la notizia di una mutazione del virus non è di certo entusiasmante. La preoccupazione per lo sconosciuto e la non corretta informazione potrebbero indurci a comportamenti errati con il risultato di rallentare la lotta al COVID-19. Vediamo quali sono le varianti e sorprattutto teniamoci aggiornati da fonti ufficiali.

Cosa sono le mutazioni

Tutti i virus, col procedere del tempo, tendono a subire delle mutazioni; in particolare, la famiglia dei coronavirus presenta una maggiore predisposizione a mutare, avendo un genoma costituito da RNA a singolo filamento positivo.

Sin dall’inizio della pandemia sono state rilevate diverse varianti del virus SARS–CoV–2, il cui impatto, nella gran parte dei casi, era però irrilevante dal punto di vista delle caratteristiche virali. Alcune delle ultime mutazioni, invece, hanno comportato dei cambiamenti significativi in merito alla trasmissibilità del virus, alla sua capacità di provocare la patologia e alla sua resistenza a farmaci e vaccini.

Quali sono le varianti del virus SARS–COV–2 che, al momento, destano preoccupazione?

Allo stato attuale, sono state identificate tre varianti particolarmente preoccupanti e, di conseguenza, sottoposte ad attento monitoraggio. Si tratta della variante inglese, di quella sudafricana e di quella brasiliana, ognuna delle quali prende il nome dal luogo dove è stata per la prima volta registrata.

Queste tre varianti derivano da mutazioni sulla proteina Spike (S), responsabile delle peculiari protuberanze presenti sulla superficie del virus (ragion per cui viene chiamato coronavirus). La proteina S permette al virus di legarsi alla cellula bersaglio e di fare ingresso al suo interno. Ecco perché i ricercatori di tutto il mondo si stanno dedicando allo studio della proteina Spike per identificare nuovi antivirali.

Le varianti inglese, sudafricana e brasiliana presentano un più elevato potere infettante, una più alta trasmissibilità. Sono state, inoltre, avanzate ipotesi secondo cui la variante sudafricana e quella brasiliana determinino una perdita di efficacia dei vaccini finora disponibili (gli studiosi si domandano se possano causare un più alto numero di infezioni in soggetti già guariti da COVID–19).

Non sono, invece, emerse evidenze di un effetto negativo sull’efficacia dei vaccini a proposito della variante inglese, la quale, tuttavia, pare mostrare una maggiore patogenicità.

Sono necessarie nuove misure di protezione individuale per proteggerci dalle varianti del virus?

No, non vi sono ad oggi prove razionali della necessità di inserire nuove misure di protezione individuale. Restano d’obbligo, pertanto, quelle già previste: l’uso della mascherina, l’igiene delle mani e, soprattutto, il distanziamento sociale.

Farmaci e vaccini sono efficaci sulle varianti?

In base agli studi finora effettuati, i vaccini sembrerebbero funzionare sulla variante inglese, mentre per le varianti sudafricana e brasiliana si riscontrerebbe una diminuzione dell’efficacia. I produttori di vaccini stanno cercando di studiare richiami vaccinali per migliorare la protezione contro le future varianti.

Per quanto riguarda i farmaci, sia quelli già in uso che quelli in fase sperimentale, non ci sono ancora evidenze scientifiche che ne comprovino o meno l’efficacia contro le nuove varianti, anche se qualche articolo preliminare indica una riduzione dell’efficacia di alcuni anticorpi monoclonali.

I test diagnostici attualmente in uso sono in grado di rilevare le varianti?

I test utilizzati diagnosticano correttamente l’infezione, ma per poter discriminare se essa sia causata da una variante è necessario effettuare un test altamente specialistico detto sequenziamento, grazie al quale si determina l’esatta composizione del genoma del virus.

Come vengono monitorare le varianti in Italia?

Il monitoraggio delle varianti è affidato ai laboratori delle singole Regioni e Province autonome, sotto il coordinamento dell’Iss (Istituto Superiore di Sanità).

In particolare, essi hanno il compito di selezionare dei sottocampioni di casi positivi e di sequenziare il genoma del virus per individuare la presenza della variante inglese. In un secondo tempo, si procederà all’individuazione della presenza della variante brasiliana e, qualora fosse opportuno, anche di quella sudafricana.

Vengono selezionati principalmente campioni di soggetti vaccinati contro SARS–CoV– 2 che si infettano nonostante una risposta immunitaria al vaccino, di pazienti immunocompromessi positivi a SARS–CoV– 2 per lunghi periodi, di casi di reinfezione, di individui provenienti da Paesi con alta incidenza di varianti del virus.

Vengono, altresì, monitorati gli ospedali, le aree che registrano un aumento repentino dei casi o un cambiamento nella trasmissibilità/virulenza, e svolte analisi di cluster (gruppi) per valutare la catena di trasmissione e l’incisività delle strategie di contenimento dell’infezione.

Le varianti colpiscono in maniera specifica determinare fasce di età?

Da quanto emerso fino ad ora, le varianti non sembrano provocare sintomi più gravi in nessuna fascia di età. La malattia presenta le medesime connotazioni, qualsiasi sia la variante del virus. Solo a livello di trasmissibilità, la variante inglese determina un incremento dei casi, ma in modo omogeneo all’interno della popolazione, senza penalizzare una particolare fascia d’età.

 

(fonte ISS)

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