I “rimedi della nonna” posso sostituire i farmaci?
L’omeopatia è la più diffusa tra le medicine alternative, tanto che oltre 10 milioni di italiani hanno fatto ricorso ai rimedi omeopatici almeno una volta nella vita. Da una parte, infatti, proviamo una sorta di attrazione verso l’omeopatia, la quale, ad uno sguardo superficiale, ci appare più innocua e salutare rispetto alla farmacologia convenzionale.
D’altro canto, sappiamo bene quanto la comunità scientifica internazionale esprima aspre critiche nei suoi confronti. Cerchiamo, allora, di fare chiarezza sull’argomento, chiedendoci principalmente cosa sia l’omeopatia e su quali principi poggi.
La nascita della medicina omeopatica, dal greco òmoios, simile, e pàthos , male (che possiamo, quindi, tradurre come “lo stesso male”), risale ai primi anni dell’Ottocento
ed è legata alla figura di Samuel Hahnemann, medico tedesco disilluso dai limiti della medicina del suo tempo. L’omeopatia, dunque, si rifà all’antico concetto di Paracelso
secondo cui “i simili si curano con i simili”.
Ecco perché essa si contrappone alla medicina tradizionale che, al contrario, è allopatica (dal greco àllos e pàthos , cioè “altro male”).
Per la medicina classica, ogni patologia si cura con un rimedio che la contrasti, che sia opposto, e non simile, al male da debellare. Ad esempio, per curare un’infezione
batterica si assume un antibiotico, per combattere l’ipertensione arteriosa si fa ricorso ad un vasodilatatore, e così via.
Il principio su cui si basa l’omeopatia, invece, prevede la somministrazione di sostanze simili all’agente patogeno, affinché si stimoli una reazione immunitaria che
vada a rafforzare le difese dell’organismo favorendo la guarigione o prevenendo l’insorgere della malattia. La sostanza omeopatica, una volta individuata, viene fortemente diluita e “dinamizzata” (cioè, secondo gli omeopati, la si potenzia, le si conferisce energia).
Si è visto che, in caso di disturbi poco gravi quali raffreddore, emicrania, tosse o psoriasi, l’omeopatia può contribuire in qualche modo alla scomparsa dei sintomi, quasi alla stregua dei classici “rimedi della nonna” per cui si cura il mal di gola con latte caldo e miele, il dolore da reumatismi con pediluvi o la caduta dei capelli con impacchi casalinghi.
In realtà, ciò può dipendere da molteplici fattori. Ricordiamo, innanzitutto, che la gran parte dei disturbi di lieve entità tende a scomparire spontaneamente, anche senza l’ausilio di particolari rimedi. Inoltre, bisogna tener conto del cosiddetto “effetto placebo”, grazie al quale, attraverso il meccanismo psichico dell’autosuggestione, ossia l’autoconvinzione di trarre benefici dall’assunzione di una sostanza (pur se si tratta di un composto privo di principi attivi), si verifica sia una risposta psicologica positiva, sia una complessa reazione neurobiologica, con la liberazione da parte del sistema nervoso di endorfine, neurotrasmettitori e neurormoni, che giocano un ruolo importante nell’attenuazione del dolore e nella riduzione dello stress.
In pratica, in virtù dell’effetto placebo (dal latino placeo , “piacerò”), persino un’innocua soluzione di acqua e zucchero, se assunta con alte aspettative di guarigione, credendo si tratti di
un preparato farmaceutico assai efficace, per una sorta di auto condizionamento, si arriva ad ottenere un certo beneficio terapeutico.
Con il termine placebo, la comunità scientifica si riferisce altresì ad una sostanza, assolutamente priva di principi attivi, che viene utilizzata negli studi clinici come strumento di paragone con altri farmaci per testare l’efficacia di questi ultimi. Ed è proprio grazie alle numerose ricerche effettuate a questo scopo che si è potuta dimostrare l’utilità pressoché nulla dei trattamenti omeopatici.
Si è giunti alla conclusione che, mentre la medicina ufficiale è sostenuta da evidenze consolidate, l’omeopatia, così come la medicina alternativa in genere, può al massimo rivendicare un effetto analogo a quello del placebo. Per tal motivo, essa è ad oggi considerata una pseudoscienza e sono decisamente da respingere le pretese di equipararla o affiancarla alla medicina tradizionale.
È doveroso, tuttavia, riconoscere la capacità di molti omeopati di instaurare con i pazienti un rapporto di scambio costruttivo e di reciproca fiducia. Il loro approccio volto ad una profonda analisi degli aspetti psicologici ed emozionali del malato e ad un’attenta valutazione della sua storia personale e familiare è da prendere in adeguata considerazione, affinché valga da esempio per tanti medici.
Empatizzare con il paziente, mettendo l’accento sull’aspetto umano della sofferenza, aumenta notevolmente il senso di fiducia riposto negli specialisti della salute e migliora, di conseguenza, le prospettive di guarigione.